29 de set. 2009

Cronica sentimental en rojo

Francisco Gonzalez Ledesma (Barcelona, 1927)

Premi Planeta 1984, aquesta novel·la negra conjuga el passat més esplèndid de l'alta burgesia de Barcelona, la decadència actual dels seus descendents i el rerafons dels barris baixos de la ciutat, en una trama que enganxa des del primer moment i on personatges magistralment definits ens condueixen a través dels aconteixements.

Mendez es un policia de la vella escola, absolutament irreverent i entranyable alhora, es mou a les clavegueres socials com peix a l’aigua i estirarà el fil d’aquest cas fins el final, amb una tenacitat més pròpia d’altres èpoques. Amb fina ironía i humor solapat el pitjor de la nostra societat passa per la ploma del autor, però deixant una escletxa oberta a la esperança.

Dèries, 29 de setembre de 2009

Incontro con Ledesma al Festival di Mantova

Alessandra Anzivino

Ledesma e la filosofia della strada.

Mendez, il poliziotto che si sporca volentieri le mani con la realtà da marciapiede dei bassifondi di Barcellona, è l’eroe seriale di Francisco Gonzalez Ledesma. Nell’incontro che si è tenuto a Mantova, nell’ambito del Festival letteratura, Ledesma ha parlato de suo personaggio come di un amico intimo, reale e vicino. Ha sviscerato la sua genesi e le sue caratteristiche, sollecitato da un pubblico attento e partecipe e dalle domande incalzanti di Luca Crovi.
Lo scrittore spagnolo ha indirizzato la discussione su un lungo viaggio a ritroso nella sua storia professionale e umana. Con emozione, ma senza ombra di retorica, ha affrontato il tema della censura franchista della quale fu vittima. Un periodo cupo e un’esperienza dolorosa, ma formativa e militante, durante la quale fu costretto a scrivere sotto uno pseudonimo con assonanze statunitensi novelle di avventure che costituirono, per sua stessa ammissione, la sua palestra letteraria e gli regalarono il gusto di raccontare storie.
La saga esistenziale del personaggio letterario Mendez affonda le sue radici nella profonda crisi emotivo/professionale di Ledesma, avvocato affermato e come si è lui stesso definito “milionario”, che sceglie, ad un certo punto della sua vita la verità della storia e della strada.L’”avvocato” Ledesma nella sua quotidiana pratica legale scopre che esiste un’insanabile frattura tra la legge celebrata nei tribunali e la giustizia della strada.
Capisce che esiste una mala fatta di fatterelli ridicoli puniti con severità ed enormi ingiustizie e crimini passati sotto silenzio in nome del denaro che tutto compra anche una legge addomesticata.Il giornalista e lo scrittore Ledesma si immerge dunque nella realtà della sua infanzia passata sulla strada e comincia a studiare le tipologie di sbirri da quartiere malfamato.
Mendez, secondo quanto detto dall’autore nell’incontro, è un mix felice di quattro poliziotti conosciuti in ambiti diversi.Il primo una sorta di guardia del corpo di un capitano fascista, il secondo un imbranato, il terzo una sorta di non violento che scaglia pietre contro i delinquenti e spara in aria. Ma è il quarto che sembra abbia dato l’imprinting più profondo per la costruzione del personaggio di Mendez.Un pezzo grosso della polizia spagnola che racconta le sue storie in una notte insonne trascorsa con Ledesma.
Racconti di strada e di ingiustizia, di carcerazioni illegali e di orribili delitti verso donne e bambini senza difese. Non c’è da stupirsi quindi che il poliziotto creato da Ledesma sorvoli sui piccoli crimini comuni e sia invece risoluto e senza freno nel punire delitti perpetrati verso la parte più indifesa che calca i marciapiedi dei quartieri più malfamati.
La novela negra ha dato allo scrittore spagnolo la possibilità di esprimersi con assoluta libertà e precisione sulla realtà dei fatti, e capire i meccanismi della creazione dei suoi personaggi induce il lettore ad un crescente entusiasmo nel rapportarsi ai suoi romanzi.Un noir sociale quello di Ledesma che, attraverso il suo lungo discorso, ha chiarito ai suoi lettori l’unico vero segreto per mantenere quel patto di veridicità della storia nei loro confronti:osservare e vivere sulla propria pelle le esperienze, mescolarle con i propri ideali e restituirle al lettore ammantate di mistero e ritmo.

Milano Nera, 29 settembre 2009

Nefandezze, umanità e amore visti dalla Rambla: Francisco González Ledesma

C’è una Barcellona che appartiene al passato e forse non è mai realmente esistita (o forse è l’unica vera) e che esce prepotentemente dalle pagine di un libro: “Storia di un dio da marciapiede” di Francisco Gonzalez Ledesma. La sua città inizia e finisce in pochi quartieri, la sua vita si snoda attorno alla Rambla ma soprattutto nel Barrio Chino, nei suoi locali, nel puzzo dei vicoli e nei suoi vini di pessima qualità. È la città-microcosmo del protagonista, l’ispettore di polizia Mendez, che pensa di non riuscire a sopravvivere fuori da quel quartiere e che invece - per seguire un caso terribile di morte dove c’è di mezzo una bambina - si troverà prima a Madrid e poi addirittura in Egitto. Ma scoprirà che anche laggiù, nella mitica terra dei faraoni, la gente in fondo è la stessa: sporca, crudele, vigliacca. Così sono i personaggi che si incontrano in queste pagine, siano essi killer spietati, separatisti dell’Eta, alti funzionari o ricchi borghesi.
In fondo, scopre Mendez, nessun posto è tanto diverso da quello popolato di disgraziati, delinquenti e prostitute nel quale lui vive e del quale si nutre e dove però i suoi occhi smaliziati e poco inclini allo stupore riescono ancora a commuoversi per lo sguardo di una bambina innocente: l’unica poesia possibile in questo mondo e l’unico motivo per cui valga la pena vivere.
Il libro è un perfetto noir nell’architettura e nei meccanismi (ci sono tutti i crismi, dal commissario che agisce al limite del legale alla suspense), ma Ledesma fa del genere soprattutto uno strumento per parlare della cosa che davvero gli interessa e vuole mostrarci: l’umanità e le sue (troppo spesso squallide) sfaccettature.

Il cinema secondo Crisss, 29 settembre 2009

28 de set. 2009

‘La dama de Cachemira’, de Francisco González Ledesma


Un policía de la vieja escuela
Dice un viejo refrán que nadie es profeta en su tierra y esto ocurre frecuentemente en el mundo de la Literatura. Existen muchos casos de escritores que son muy populares y premiados fuera de su país pero en éste gozan de menos éxito, al menos, fuera de los círculos del género al que acostumbran a dedicarse.
Algo de ello le sucede a Francisco González Ledesma (Barcelona, 1927). Periodista, autor de guiones para historietas y narrador, siempre ha circunscrito su creación al género policíaco. Ya en fecha tan temprana como el año 1948 obtuvo el Premio Internacional de Novela -en cuyo jurado se encontraban nada menos que Somerset Maugham y Walter Starkie- con su obra ‘Sombras viejas’.
Después vendrían ‘Las calles de nuestros padres’, ‘Expediente Barcelona’ o ‘Crónica sentimental en rojo’, que le proporcionó el Premio Planeta en el año 1984 y le abrió las puertas de la prestigiosa editorial francesa Gallimard, que, desde entonces, es la primera en publicar sus obras.
Ledesma es de orígenes humildes y, por ello, siempre ha revestido sus narraciones de un fuerte contenido social. Su más peculiar creación es el inspector barcelonés Ricardo Méndez. Hombre escéptico, como buen policía, y conocedor al detalle de los bajos fondos de su ciudad, resuelve sus casos más por constancia que por ortodoxia criminológica.
La dama de Cachemira’, publicada por vez primera en 1986 y ahora recuperada por RBA Editores, constituye –tal como reza el subtítulo- el primer caso del inspector Méndez.
Se ha cometido un asesinato y la única pista es una silla de ruedas, desde la que se ha perpetrado el crimen. Pero, tras él, se esconde una oscura trama inmobiliaria en la que se encuentran inmersos políticos con escasos escrúpulos.
Pero lo realmente importante, a nuestro juicio, de la obra es el recorrido por los bajos fondos barceloneses y sus gentes. Mujeres que sueñan con viajes, bellas cuyo mejor momento ha pasado, negocios que no se venden ni a sí mismos o trapicheros que sobreviven como pueden, son algunas de las figuras que podemos encontrarnos. Y todo ello aderezado por las pesquisas de un policía de la vieja escuela y con amplias dosis de humor.
La obra obtuvo el Premio Mystére en Francia, otorgado a la mejor novela negra, y, sin duda, es merecido, pues
Ledesma combina a la perfección costumbrismo, realismo social, intriga y humor, todo ello tras un estilo ágil y directo. Una novela recomendable a todas luces.

LeeGratis.com, 28 de septiembre de 2009

21 de set. 2009

El último caso de lnspector Méndez

En los inicios de los años ochenta, el crítico Juan Antonio de Blas definió a Francisco González Ledesma como el “primero de nuestros escritores policiacos”. Hoy, veintitantos años más tarde, me atrevo a afirmar sin ningún tipo de dudas que Francisco González Ledesma no es sólo el mejor autor de novela negra: Es el mejor escritor español vivo y probablemente uno de los mejores en lengua castellana, y eso abarca cualquier género literario. A sus ochenta y dos años (nació en 1927 en el barrio de Poble Sec de la ciudad de Barcelona, en el seno de una familia de tradición republicana, represaliada tras la Guerra Civil), González Ledesma está en el mejor momento de su carrera, como lo demuestra No hay que morir dos veces, la extraordinaria novela que publicó hace unos meses y con la cual cierra, por ahora, la serie de novelas sobre el Inspector Ricardo Méndez y la ciudad de Barcelona.
Hagamos un poco de memoria: Nuestro hombre es autor de una extensa obra literaria, que comenzó con Sombras viejas, Premio Internacional de Novela José Janés en 1948 (como anécdota, señalar que el presidente del jurado que le otorgó el premio fue el novelista estadounidense William Somerset Maugham), y Los Napoleones, ambas prohibidas por la censura franquista. Esto le puso las cosas muy difíciles, pero como quería ser escritor a cualquier precio, sólo le quedó la opción de parapetarse tras el pseudónimo de Silver Kane, y dedicarse a la literatura de quiosco, escribiendo una novela por semana durante más de quince años para la Editorial Bruguera. Empezó cobrando 1.500 pelas y al final de su etapa como narrador pulp cobraba 14.000 pesetas. Su especialidad eran las novelas del oeste y las de gánsters, aunque también publicó obras de tema político y de espionaje. Durante la década de los cincuenta fue guionista de tebeos, creando la serie de El inspector Dan, un personaje muy famoso en la España de la época. González Ledesma también ha trabajado como abogado y como periodista en diarios como La Vanguardia y El Correo Catalán. De este bagaje surge, tras la llegada de la democracia a nuestro país, un extraordinario novelista, que había permanecido agazapado en espera de su momento.
Con la recuperación de las libertades y la muerte de la censura por aburrimiento, Francisco González Ledesma recupera su propio nombre y comienza a publicar una serie de novelas de género negro: Expediente Barcelona, Las calles de nuestros padres (donde el Inspector Méndez es por primera vez protagonista absoluto), La Dama de Cachemira, Crónica sentimental en rojo (que fue galardonada con el Premio Planeta en el año 1984, cuando aún el Premio Planeta deparaba este tipo de sorpresas y no había que ser un famosillo televisivo de medio pelo para ganarlo), El pecado o algo parecido, Cinco mujeres y media, Dios en cada esquina, Méndez, Una novela de barrio (galardonada en 2007 con el Premio Internacional de Novela Negra RBA) y la última entrega, la ya citada No hay que morir dos veces. No obstante, González Ledesma ha seguido publicando bajo pseudónimo, en esta ocasión el elegido fue Enrique Moriel, y las novelas, La ciudad sin tiempo y El candidato de Dios.
Como decía al principio, su última novela, No hay que morir dos veces, es, en mi opinión su mejor obra. De hecho me la he leído en apenas diez horas, prácticamente de un tirón, pues la trama, magníficamente trenzada, atrapa al lector como si este hubiese caído en una tela de araña, impidiéndole que abandone el libro si no es en caso de emergencia. Y es que la edad no ha hecho que nuestro hombre pierda facultades, más bien al contrario. Como los buenos vinos, el tiempo sólo ha servido para poner las cosas en su sitio. González Ledesma se ha acabado convirtiendo en un autor de pulso firme, hábil con las palabras, y con ese sentido del humor que lo hace único. Veamos algunos ejemplos extraídos de la novela:
Los ojos de Gabri eran inexpresivos y fríos. Sus músculos se marcaban poderosos bajo la camisa, ya que en la cárcel no había tenido otra distracción que leer, hacer gimnasia y evitar que le dieran por el culo. En las tres cosas —decían sus compañeros— había tenido éxito, aunque normalmente a la que te descuidabas sólo tenías éxito en dos. (Pág. 40)
O este otro:
En la torre de más allá, un hombre de unos treinta años, que por su edad debería trabajar, se estaba rascando las pelotas. Era una labor juiciosa y lenta, pensó Méndez. Al fin y al cabo, mientras te rascas las pelotas no haces daño a nadie. (Pág. 145)
Otra de las especialidades de Francisco González Ledesma son los diálogos, de los cuales podemos encontrar auténticas maravillas en No hay que morir dos veces. Veamos esta conversación entre Méndez y el empresario Linares:
(…)Pero al margen de esta alta misión social, usted no debe saber para que sirve el dinero, Méndez.No tengo la menor idea —reconoció él.Pues ante todo sirve para tener poder. Con dinero se construyen imperios; sin dinero sólo se construyen barricadas.Y poesías.Las poesías a que usted se refiere son lo que queda de la última barricada, lo que queda cuando todos sus defensores ya han muerto.Estoy aprendiendo mucho de usted, señor LinaresEs que no todo el mundo habla tan claro como yo. (Pág. 248)
Por no faltar, no falta ni siquiera un pequeño guiño/homenaje a Negra y criminal, la tienda especializada en género negro de Barcelona, en lo que ya se va convirtiendo en una costumbre entre los autores del género en nuestro país:
Y sonrió recordando esa pequeña librería cerca del puerto, Negra y criminal, en la que un cartel decía; “Terminantemente permitido fumar.” (Pág. 136)
¿Y qué decir de ese mítico inspector llamado Ricardo Méndez? Pues que debe ser el único madero del mundo que siente un calambre en el alma al ver “una pistola Mauser de las luchas anarquistas de los años veinte.” Y es que en el fondo Méndez es más ácrata que Durruti y Ascaso juntos. Hace lo que le sale de los cojones, contraviniendo todas las órdenes de sus superiores. Bebedor infatigable de coñac de garrafa y de orujo casero, desconfía absolutamente del poder establecido, léase jueces, políticos e incluso policía. Espectador de un mundo que día a día se desploma, acorralado por la postmodernidad y la vida de diseño. Pero ha vivido tanto en esas calles del Barrio Chino que su sexto sentido no suele dejarlo en evidencia.
En mi opinión, No hay que morir dos veces es la mejor novela publicada en lo que llevamos de año, y sinceramente, dudo mucho que en los tres meses y pico que quedan para navidad, se publique algo con la fuerza, el humor y la sensibilidad de esta novela. Francisco González Ledesma: El mejor escritor español vivo. Luego no digas que no te avisé.

Margen izquierda, 21 de septiembre de 2009

20 de set. 2009

A Dama de Caxemira, de Francisco González Ledesma

Velho, cínico e assombrado pela memória das mulheres que não soube amar, preso entre o fascínio pelos marginais que deveria perseguir e o desprezo dos seus superiores, que sonham vê-lo reformado, o inspector Méndez vagueia por uma Barcelona cuja modernidade o acossa, saudoso da cidade gloriosa de outrora.
As décadas que passou ao serviço da polícia não deixam que Méndez confunda verdade com justiça, e este velho cavalo de guerra da lei não se deixa iludir facilmente.Quando se depara com um bizarro crime que envolve um cadáver e uma cadeira de rodas, Méndez mergulha na aventura mais vertiginosa e sentimental da sua vida – uma história de solidões, frustrações, nostalgias e inesperadas ternuras. Uma mulher presa a um passado longínquo e perdido, um homem casado apaixonado por um antigo amante, um amor inesperadamente platónico e um conjunto de vidas tragicamente interligadas levam Méndez a descobrir que se pode morrer por sonhar demais e que o homicídio pode ser o derradeiro acto de ternura.A Dama de Caxemira convida o leitor a deambular pelo labirinto de ruas estreitas e horizontes vastos que é a cidade antiga de Barcelona, e não deixará de o marcar pela sua originalidade e irreverência."

A Minha Opinião:
Este foi um livro que me custou um pouco a ler... mas creio que isso também foi devido à altura que escolhi para o ler.
Apesar disso o balanço é bastante positivo, pois o enredo está muiro bem conseguido :)
Tudo começa com o assassinato de alguém e a confusão com uma cadeira de rodas, a partir daqui surgem os mais variados personagens, que se interligam uns nos outros ao longo da história, mas aconselho a redobrada atenção aos seus nomes para não baralharem, comigo aconteceu, o que me fez regressar atrás na história (mas pode ter sido do meu cansaço!!!).
Um bom romance policial em que o investigador quebra todas as regras e ao mesmo tempo tenta resolver os seus problemas com os outros e consigo próprio.
As confusões de amores e da cadeira de rodas fazem com que o interesse pela leitura se matenha sempre no auge!
Um policial que aconselho a quem gosta do género ;)

Bookshelf da Betita, 20 de setembro de 2009

14 de set. 2009

Las calles de nuestros padres, de Francisco González Ledesma

Segunda novela en la que aparece MÉNDEZ. Novelón, amigos. Es un libro escrito desde el cariño. Cariño por una ciudad, BARCELONA. Cariño hacia un personaje, el inspector MÉNDEZ, que tiene demasiado de nosotros mismos. Por eso me gusta tanto y gusta tanto al público. He gozado al leerlo, como se disfruta con muy pocas cosas. Me he reído de la mala suerte del AMORES, de los negocios del ARMANDO. He vivido con intensidad la amistad entre SERGI LLOR y LIBERTAD. Y he bajado a las cloacas del poder con JUAN SANJUÁN y MARINA VOLPE. Es una novela muy bien escrita, con muchas verdades, con mucho humor negro, blanco y de todos los colores. MÉNDEZ, y que me perdonen los demás, es nuestro mejor inspector de ficción. La novela negra es necesaria, amigos, ya lo creo que si. Es uno de mis géneros preferidos. Y si está tan bien escrita, pues miel sobre hojuelas. Si no conoces este libro, no dudes en comprarlo. Te aseguro que es una buena inversión. Con el tiempo, me iré leyendo toda la serie MÉNDEZ, os lo aseguro. Es auténtica vida escrita, la de verdad, la descarnada, sobre la cuál no queremos saber, pero que está ahí. Cada día con nosotros.

Kebran, 14 de septiembre de 2009

8 de set. 2009

Crónica sentimental en rojo de Francisco González Ledesma

Acabo de leer CRONICA SENTIMENTAL EN ROJO, novela negra (negrisima) del abogado, periodista, novelista y maestro del género negro Francisco González Ledesma.
Hasta la fecha no había leído ninguna de las andanzas del inspector Méndez, lo cual es un pequeño sacrilegio para un amante de este género, pues
González Ledesma está a la altura del más conocido Manuel Vázquez Montalvan y su celebérrimo detective Pepe Carvalho. Ambos autores son responsables, junto con otro pequeño grupo, del nacimiento en el tardofranquismo y la transición de una novela negra española leida, seguida y perstigiada en España, pero sobre todo fuera de nuestro país.
Crónica sentimental en rojo es una demoledora novela en la que se comprueba como el género humano va de lo más bajo a lo más abyecto, pasando por lo más odioso. Lo curioso es que hay un solapado antropo optimsimo que no se sabe como, pues el hedor de la cloaca social, humana y urbana es onmipresente, es capaz de transmitir una cierta esperanza en los hombres y las mujeres. No destriparé la novela para quien no la haya leído y vaya a hacerlo (cosa que recomiendo), pero en la trama se van sucediendo asesinatos, traiciones, instrumentalizaciones, medacidades, bajezas, locuras, mentiras a raudales y todo tipo de vejaciones, contadas con humor e ironía, que a uno deberían dejarle machacado, pero que no es así. El metamensaje no es, o al menos a mi no me lo pareció, pesimista. Se constata la maldaz y la avaricia. Se deja puntual testimonio de las diferencias de clase. Queda claro lo poco placentero de la vida para muchos mortales. Pero todo ello se hace no perdiendo la esperanza. Lo cual es, ciertamente, heróico o incoscientemente salvífico.
Comentario aparte merece el soez, procaz y directísimo inspector Méndez. Supongo que a la mayor parte de sus lectores les inspera cierta ternura y no poca admiración, por eso de las perlas en la pocilga. Pero a mi, no me ha parecido lo mejor de la novela. Cuando el calla he leído páginas memorables sobre la condición humana. Cuando el habla me he reído con sus ocurrencias, su estilo investigatorio y su cosmovisión, cuando menos peculiares. Pero no me han parecido sus páginas las mejores. Si son las que más dinamismo dan a la narración, pues en ellas pasan muchas cosas. Pero lo mejor de la novela, a mi juicio, está en los debates internos en los que navegan, y no pocas veces naufragan, muchos de los personajes de la novela.
Agradezco al
autor su pulso narrativo, su sabiduría vital, su vocación social, su maestría formal y su sad ending (no me llevo muy bien con los finales felices). Una novela inmensa, que me he bebido en tres días, sacando ratos de debajo de las alfombras y que supongo me llevará a leer otras novelas del tardofranquista inspector Méndez en sus andanzas por la España indubitablemente finisecular y más debatiblemente democrática.

Leolo, 8 de septiembre de 2009

4 de set. 2009

Ledesma - Un roman de quartier

Christian Robin

L'aventure tragique d'un père qui recherche les meurtriers de son fils, oscille, comme toujours chez Ledesma, entre le rire et la tragédie. Rigoureux et particulièrement évocateur, doté d'une fin particulièrement haletante, l'ouvrage est une des plus belles réussites de l'auteur.

Le courrier français, 4 septembre 2009

2 de set. 2009

Francisco González Ledesma «Era un especialista en saber dónde caerían las bombas»

Premiado muchas veces y reconocido mundialmente, ha hecho realidad el axioma que dice «pinta tu pueblo y pintarás el mundo».

Raúl Argemí

Francisco González Ledesma, Paco para los amigos, es una reserva de memoria viviente, un verdadero testigo de su tiempo. Nació en Poble Sec, barrio que lo vio pasar hambre, le enseñó a amar, y le grabó hasta el hueso que hay principios que no se negocian. Todo eso se refleja en su historia como periodista, y en la larga lista de novelas con las que siempre, de una u otra manera, estaba volviendo al barrio del que nunca termina de irse.
--Usted es novelista y sabe que una historia tiene que comenzar con gancho para retener a los lectores: cuéntenos un recuerdo infantil imborrable.
--La guerra civil, que tuve que vivir desde los ocho hasta los once años. Puedo decir, y no es chiste, que soy un especialista en saber dónde van a caer las bombas, por el pitido. Vivíamos al lado de las tres chimeneas, y los bombarderos se empeñaban en destruirlas y dejar sin luz a Barcelona. Mi madre, que era modista de pobres, mi padre, que trabajaba de peón de almacén, duro y cobrando muy poco, y yo nos hicimos grandes conocedores de esas bombas que caían cada dos por tres.
--Poble Sec tenía fama de ser un barrio rojo. ¿Se exagera mucho?
--Nada, era una fortaleza roja, con obreros dispuestos, aún durante el franquismo, a declarar la república a cada rato. Para mí fue la escuela que marcó mi vida y me enseñó lo que era la dignidad de los trabajadores. A los diez años, me acuerdo, ayudaba llevando sacos terreros al refugio antiaéreo. Allí podía ver a esos hombres, humildes, besar a su mujer, despedirse de sus hijos y ponerse el fusil al hombro para marchar al frente. Estábamos convencidos de que podíamos cambiar el mundo, y que valía la pena hacerlo.
--¿Podía ir a la escuela?
--Iba a la escuela del ayuntamiento, una escuela de calidad republicana. Allí aprendíamos no solo a respetar a los mayores, a los ancianos, también que un animal o una flor, la naturaleza, debe ser tratada con respeto. Eso sí, nada, nada nos quitaba el hambre.
--Mucha hambre.
--Mucha, hasta enfermarse. A mí me salvó una tía de Zaragoza, cuando me puse tuberculoso. La tía Victoria era modista de ricos, de militares y generales franquistas; con ella pude comer todos los días y me mandó al colegio de los hermanos Corazonistas, que eran buena gente.
--Tendría que rezar todos los días.
--Ahí estaba el problema. (Sonríe) Yo era un pequeño rojo que no sabía ninguna oración, así que tuve que disimular y aprender rápido. Más tarde, cuando estaba en otro colegio religioso de Barcelona, recuerdo que nos informaron, felices, del fusilamiento de Companys, diciendo que había sido por “mal español y mal catalán”. No era fácil la vida de un niño en ese tiempo, era un mundo que no me gustaba nada. La lectura me ayudaba a soportarlo.
--¿En los libros encontraba el mundo que le gustaba?
--Los libros me salvaron, me protegieron de tanta miseria. Un tío que era periodista tenía muchos libros bajo la cama y me dejaba leerlos. Había de todo. Novelas, cuentos, historias picarescas, de todo, y yo me los comía.
--¿Por esa necesidad de crear otro mundo llegó a la escritura?
--Sí, creo que esa fue la razón para que escribiera. Pero antes me hice abogado. Un abogado que ganaba dinero, pero que era muy infeliz. No me dejaba indiferente que condenaran a un infeliz con hambre, y soltaran al gran estafador que podía pagarse un abogado. Por eso, un día, me puse a estudiar Periodismo.
--Renegó del abogado y se hizo periodista.
--Dejé atrás el abogado rico para ser un periodista pobre. Fue la mejor decisión de mi vida. Primero estuve en El Correo Catalán, y luego en La Vanguardia. Con mucha suerte, porque los dos directores nos permitían hurtarle el cuerpo a la censura, y los lectores de aquellos tiempos eran maestros en el arte de leer entre líneas. Además, de vez en cuando, algo que uno escribe cambia un poco la realidad, y uno se siente como el cielo (ríe) ¡Y además nos pagan por hacerlo!
--Usted tiene un personaje, el comisario Méndez, muy del Barrio Chino, muy del Paral.lel, escéptico, que cree más en la ley de la calle que en las de los tribunales. ¿Cómo se hizo amigo de Méndez?
--No hubo premeditación, me lo encontré un día en Expediente Barcelona, editada en los años 80. Fue la primera en la que era personaje, y se me quedó como protagonista en ya no sé si son 12 o 14 novelas.
--Desde la primera hasta la más reciente Méndez ha sufrido muchos cambios, pero sigue fiel a su gente.
--Es como todos los policías de cierta edad. Comenzó con métodos franquistas y luego se fue volviendo democrático. Pero sus ideas de lo bueno y de lo malo le vienen del barrio, de niño. Su código es libertad, justicia y piedad. Siempre es comprensivo con el descarriado, pero no perdona ni a los que matan a un niño ni a los que violan a una mujer. Es un marginal dentro de la policía porque cree sobre todo en la ley de la calle. A Méndez no lo gusta lo que hoy ve. Antes, las putas tenían familia, hijos, en el barrio. Ahora, con las mafias, solo se ven pobres chicas, esclavas sexuales, que vaya a saber cuánto maltrato sufren.
--Méndez y usted tal vez fueron juntos a viejo teatro El Molino.
--Me hubiera gustado, pero fuimos cada uno por su lado. Recuerdo que íbamos a los 18 y pedíamos el “champán de la casa”, que no era más que gaseosa, y nos reíamos con los chistes y las canciones que tenían doble sentido. También iban viejitos muy mayores, a mirar las piernas de las chicas, pero decían que iban “por la música”.
--Hoy, ¿cómo ve a su barrio?
--Distinto, y no digo que sea malo o sea bueno, pero es distinto; ya no sé si es mi barrio.

El Periódico, 2 de septiembre de 2009